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lunedì 29 giugno 2015

GRECIA : IL TRADIMENTO

Che questa Europa non funzioni non ci sono piú dubbi ; la guida Franco/Tedesca si sta dimostrando un grandissimo fallimento .
Ma non é soltanto la gestione che non funziona , anche le istituzioni che l'accompagnano sono la conseguenza di conti fatti male , di presupposti senza fondamento , di valutazioni economiche misurate con un metro di giudizio rivolto verso Stati membri con uno sviluppo decisamente piú alto rispetto a quello del gruppo.
Paradossalmente si potrebbe dire che se facessimo un paragone con una corsa ciclistica , l'unica nazione in fuga é la Germania , mentre gli altri stentano a raggiungere la cima che li porterebbe al premio della montagna.
In pratica stiamo assistendo ad una irruente , quanto rapida germanizzazione dell'Europa , con la differenza che noi e gli altri aderenti alla zona euro non siamo tedeschi , non possiamo contare su di una economia globale crescente , che é lievitata , guarda caso , proprio a partire dal momento in cui la zona euro fu creata .
nel 1998 in effetti la situazione della Germania era parecchio in difficoltá , ben di piú di quella italiana , cosí come il debito pubblico , successivamente compromesso dagli effetti del fallimento della banca americana Lehmans Brothers , che coinvolse in larga parte tutte le banche di affari europee.
Ma ció che é gravissimo per noi poveri mortali spesso lontani dalle notizie che contano é la spregiudicatezza con cui la Germania si é appropriata indebitamente attraverso la BUNDESBANK di parecchi titoli del debito pubblico dei vari Paesi dell'Unione , soprattutto dell'Italia , pesantemente pregiudicata nell'ambito del sistema euro .
L'artcolo di Piero Valerio (riportato integralmente in basso) ci aiuta a capire come la Germania abbia tradito gli impegni presi nei vari trattati sottoscritti , disattendendo in pratica le premesse su cui tali trattati si fondavano .
In questo quadro confuso ed allarmante spunta la Grecia che per entrare in Europa truccó i conti pubblici  commettendo un reato evidente di falso in bilancio .
La cosa passó inizialmente inosservata e la Grecia ottenne finanziamenti a pioggia erogati dalla BCE , per poi divenire insolvibile nella restituzione dei denari ricevuti e degli interessi relativi ; anche l'Italia fece la furbetta al tempo di Prodi con il famoso scandalo "derivati" reso noto col contagocce e poi sottaciuto per evitare il panico :
Possibile che quel"genio" di Monti non sapesse nulla nel 2011 quando rilasció una dichiarazione durante una intervista in cui sottolineava il successo dell'euro proponendo come protagonista principale della sua affermazione la Grecia ?
Credo in veritá che l'Europa esista soltanto per la moneta unica , mentre per quanto concerne il resto sia un ectoplasma senza né corpo , né anima .
Oltre all'articolo che leggeret , mi sono permesso di pubblicare una specie di vademecum del fallimento della zona euro , sperando che abbiate la pazienza di leggere tutto .

LA BUNDESBANK PUO' COMPRARE TITOLI DI STATO, LA BANCA D'ITALIA NO?

Mi stavo facendo proprio questa domanda, quando ho trovato questo articolo di Piero Valerio che esprime la stessa mia perplessità. Abbiamo letto tutti che i bonds non comprati nell'asta sono stati acquistati dalla Bundesbank!!! Ma non era vietato???


di Piero Valerio - Sta passando in sordina ciò che è accaduto oggi nell'asta primaria di collocamento dei titoli di stato tedeschi, i famosi bund, che sono rimasti invenduti per il 35% del totale e sono stati comprati dalla Bundesbank, la banca centrale tedesca, ma in realtà si tratta di un vero e proprio scandalo.
 L'intervento improprio e irregolare della Bundesbank ha consentito alla Germania di mantenere basso il rendimento dei bund decennali (1,98%), perchè ha impedito che l'asta procedesse al rialzo dell'interesse per rendere più appetibili i titoli agli investitori internazionali e alle banche private.
Nell'ultima asta dei titoli di stato italiani, i BTP decennali, il ministero del Tesoro aveva invece dovuto patteggiare al rialzo con gli investitori collocando i titoli ad un tasso di rendimento superiore al 6%, che è pressappoco lo stesso rendimento che hanno attualmente i titoli nel mercato secondario.
La Banca d'Italia, attenendosi al suo statuto e al regolamento della BCE e delle SEBC (l'insieme di tutte le banche centrali europee), non ha potuto intervenire nell'asta per calmierare la corsa al rialzo del rendimento, come invece ha fatto la Bundesbank.
L'articolo 21.1, che riporto per intero di seguito, è la famosa norma con cui la BCE nella persona del suo presidente Mario Draghi si ostina a non comprare i titoli di stato europei durante le aste di collocamento come prestatore di ultima istanza, limitandosi sporadicamente ad intervenire nel mercato secondario per impedire che i tassi di rendimento raggiungano livelli insostenibili per i bilanci degli stati.
L'articolo 21.1 dello statuto della BCE e delle banche centrali SEBC (Sistema Europeo delle Banche Centrali) recita così: “Conformemente all'articolo 123 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, è vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia da parte della BCE o da parte delle banche centrali nazionali, a istituzioni, organi o organismi dell'Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di settore pubblico o ad imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle banche centrali nazionali.
Questa norma è altamente penalizzante e sta causando il collasso dell'intera Unione Europea, però non si capisce perchè la Bundesbank può contravvenire liberamente a questa misura restrittiva facendo da prestatore di ultima istanza per la Germania, mentre la Banca d'Italia non può andare in sostegno al governo italiano e far risparmiare al popolo italiano miliardi di euro di pagamento di interessi passivi.
La questione non è solamente un cavillo capzioso per giuristi, ma è un problema cruciale perchè ogni punto di percentuale in più o in meno di interesse passivo rappresenta miliardi di soldi bruciati con il lavoro dei lavoratori, i tagli alla spesa pubblica, le riforme dello stato sociale, le zavorre su tutte le future generazioni.
Grazie alla forza della Bundesbank e della Germania, che può derogare alle norme alla BCE, i tedeschi pagheranno i loro debiti ad un tasso irrisorio del 1,98%, mentre a causa della debolezza della Banca d'Italia e del governo italiano, gli italiani dovranno rimborsare i loro debiti ad un tasso superiore al 6%, penalizzando l'economia e la società del bel paese per molti anni avvenire.
Questo è il motivo per cui da anni si protesta contro la posizione dominante della Germania all'interno della comunità europea e della banca centrale Bundesbank all'interno del board della BCE, che essendo una vera e propria costola della Bundesbank e avendo sede a Francoforte è soggiogata dalla pressione dei tedeschi e chiude gli occhi davanti ai loro soprusi e alla loro prepotenza.
USCITA DALL’EURO: QUANTI SOLDI CI DEVE LA BCE?
Come ogni anno, quando si avvicina la fine, comincia puntuale la girandola delle previsioni sulla crescita prossima ventura. Qualcuno, fulminato sulla via di Bruxelles, comincia a vedere la luce in fondo al tunnel e folgorato dall’abbagliante miraggio, inizia a diffondere in giro i numeri che ha visto durante i momenti dell’estasi. In particolare il governo Letta ha dato le sue stime del miracolo: 1% di aumento del PIL nel 2014, 2% nel 2015. Ha usato numeri semplici, facilmente memorizzabili. Una successione aritmetica di ragione 1. Poteva anche usare la ragione 2 per dare più coraggio e speranza al popolo vessato: 2% nel 2014, 4% nel 2015, 6% nel 2016. Oppure la successione di Fibonacci: 1,1, 2, 3, 5, 8, 13 e così via. Pensa che bello, saremmo cresciuti nella stessa maniera in cui si riproducono i conigli. Ovviamente i fulminati hanno gioco facile a sparare numeri a caso, contando sul fatto che gli italiani hanno la memoria corta e sono troppo impelagati con le contingenze del presente per ricordarsi le dichiarazioni di un anonimo presidente del consiglio di cui molto presto non sentiremo più parlare. Renzi incombe, lui è il nuovo che avanza. E ha la benedizione del solito granitico manipolo di gonzi del PD per continuare a distruggere l’Italia.

Eppure, tutti noi ormai stiamo vivendo sulla nostra pelle o a un palmo dal nostro naso, quali siano davvero le cifre che contano in una nazione: il numero di suicidi, la disoccupazione, i cassaintegrati, gli esodati, gli emigrati, la perdita del potere di acquisto, le aziende che chiudono, il calo della produzione industriale. Cosa volete che conti l’aumento di un misero punto percentuale di PIL in mezzo a un deserto sociale ed economico, come quello che abbiamo davanti gli occhi tutti i giorni. Il PIL può aumentare perché aumentano le rendite degli speculatori o diminuiscono le importazioni, oppure più semplicemente perché aumenta l’anemica inflazione, senza creare un solo posto di lavoro in più. Il PIL insomma può aumentare mentre il deserto intorno a noi continua inesorabilmente ad avanzare. Tuttavia, grazie alla mobilitazione dei forconi e alla loro lenta ma irreversibile presa di coscienza, abbiamo capito una cosa importante. Sebbene in modo ancora frammentario e approssimativo, la gente ha capito qual è la causa principale dei nostri problemi: l’euro. Dal micidiale sistema di aggancio rigido delle monete europee del 1979, passando per il divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro del 1981 fino alla perdita definitiva della sovranità monetaria del 1999. Senza la leva valutaria del tasso di cambio e strangolato dai vincoli di bilancio, uno Stato può solo assistere impassibile al suo declino. La legge di Murphy non sbaglia mai: se una cosa può andare male prima o dopo lo farà. E l’euro che è uno dei progetti più strampalati e sbagliati della storia non poteva che finire così. Nel caos, nella rivolta sociale, nel disordine istituzionale.

E intanto, mentre cresce la protesta, abbiamo capito che tutti i mali endemici del nostro paese, la corruzione, la casta, l’evasione fiscale, la malavita, sono solo dei dannosi effetti collaterali che non hanno nulla a che vedere con la ripresa dell’economia. Una bazzecola in confronto ai fiumi di soldi che andranno via dall’Italia in seguito all’adesione ai trattati europei, dai fondi di salvataggio al Fiscal Compact, agli insostenibili interessi sul debito, alle perdite per mancanza di competitività, alle crescenti spese per pagare i sussidi di disoccupazione, alla scomparsa della capacità produttiva e delle competenze imprenditoriali e tecniche, alla svendita del patrimonio pubblico e privato italiano. Come dire che per prendere un camorrista basta rinforzare gli organi di polizia e di magistratura, ma per fare un operaio qualificato servono invece anni e anni di dedizione e formazione. E abbiamo capito che le misure di austerità servivano solo a renderci più poveri, a creare maggiore disoccupazione, ad abbassare le nostre pretese salariali, ad equilibrare i nostri conti con l’estero riducendo le importazioni, mentre numeri (questa volta consuntivi) alla mano, i tagli alla spesa e gli aumenti di tasse hanno peggiorato i nostri conti pubblici. La favoletta che lo Stato funziona come una famiglia e se risparmia crea i presupposti per la crescita, ormai viene creduta soltanto da chi non riesce a capire il funzionamento delle tabelline, delle moltiplicazioni, delle frazioni. Non conosce la differenza fra micro e macroeconomia. Non sa che l’economia è spesa e senza spesa non c’è economia.

E abbiamo capito che se le banche non prestano più o la gente e le imprese non si indebitano, la moneta scompare dal mercato e senza moneta non possiamo più finalizzare i nostri scambi o rimborsare i nostri debiti precedenti, con tutto ciò che ne consegue in termini di recessione senza fine e fallimenti a catena. E abbiamo capito che l’unico interesse dei tecnocrati di Bruxelles è il salvataggio delle banche e le loro interminabili riunioni notturne servono solo a decidere se a pagare debbano essere i governi, i contribuenti oppure gli obbligazionisti, gli azionisti e i correntisti delle banche con i prelievi forzosi. Cioè sempre noi cittadini, perché ormai è stato deciso nei piani alti che tutti devono pagare le perdite delle banche tranne coloro che hanno realmente creato i buchi di bilancio con la loro pessima gestione finanziaria. E abbiamo capito che la Germania non ha alcuna intenzione di fondare i favolosi Stati Uniti d’Europa, perché ciò comporterebbe un trasferimento perenne di ricchezza dal nord al sud del continente. E abbiamo capito anche che i tedeschi, in occasione proprio degli accordi sull’unione bancaria, hanno messo un limite temporale all’euro: 10 anni. Fino al 2024 infatti i panni sporchi delle banche verranno lavati innanzitutto all’interno dei singoli paesi di origine, non ci sarà alcuna mutualizzazione delle perdite, i tedeschi non pagheranno più per salvare gli altri, dopo invece si vedrà. E in quel dopo sono sottointesi tutta la diffidenza e lo scetticismo che ormai la Germania nutre sulla possibilità di sopravvivenza dell’euro. E abbiamo capito infine che la Storia non fa sconti a nessuno e se qualcuno, per quanto abile e potente esso sia, cerca di riportare indietro le lancette della Storia, interrompendo bruscamente il cammino di emancipazione dei popoli dalla schiavitù e dall’oppressione, prima o dopo paga dazio.

E’ vero che c’è stato un periodo ormai lontano nel passato in cui gli interessi dei singoli individui potevano spontaneamente e inconsapevolmente indirizzarsi verso l’interesse della collettività, Adam Smith non era un balordo, ma un profondo conoscitore delle dinamiche economiche e politiche della società in cui viveva. Ma Smith non poteva sapere che più di duecento anni dopo i suoi studi, i processi di concentrazione e fusione avrebbero creato alcuni singoli individui giuridici, alcune società, alcune multinazionali, alcuni colossi bancari capaci di eguagliare e in certi casi superare la capacità finanziaria di interi Stati, mettendo in aperto conflitto i propri interessi con quelli della collettività. Smith, consapevole dell’importanza giuridica e regolatrice degli Stati e sinceramente persuaso dei benefici della libera concorrenza, sarebbe impallidito al solo pensiero di una simile distorsione. Il buon Smith avrebbe tuonato inorridito che non può esistere una società privata capace di concorrere con la responsabilità legislativa e la funzione di garante dei diritti dello Stato, e se una mostruosità del genere è accaduta è solo perché lo Stato non è riuscito a far rispettare i vincoli della libera concorrenza, che in teoria (e solo in teoria purtroppo) non avrebbero potuto ammettere l’espansione di una società privata oltre un certo limite.

Smith era in primo luogo un giurista e un filosofo affascinato dai meccanismi di scambio e produzione, e non poteva prevedere le derive dell’infernale commistione fra sfera pubblica e sfera privata, che consente oggi a banchieri e politici di scambiarsi ruoli e poltrone incuranti dei danni economici e crimini sociali di cui si rendono continuamente protagonisti. Tuttavia se al tempo di Smith l’idea salvifica della massimizzazione dell’interesse privato poteva funzionare, data la ridotta dimensione del nascente settore privato capitalista e bancario, oggi il paradigma va completamente ribaltato: soltanto perseguendo l’interesse della collettività, attraverso un rafforzamento delle istituzioni pubbliche dello Stato, sarà possibile sperare di difendere i propri interessi individuali di privati cittadini dall’aggressione feroce di quella parte ingigantita e fuori controllo del settore privato stesso. E’ una guerra senza quartiere per la sopravvivenza: o vincono loro oppure noi. Non ci sono vie di mezzo. O i giganti tornano bambini, attraverso una lenta ma determinata attività di regolamentazione e riconquista dello spazio pubblico di manovra, oppure noi finiremo per essere sbranati dalle loro fauci. Questa volta la mano invisibile che dovrà indirizzare inconsapevolmente tutte le nostre scelte future sarà l’interesse collettivo, il quale in un mondo complesso come quello attuale è l’unico che può garantirci un duraturo e stabile benessere privato. Dopo Smith, sono arrivate per fortuna migliaia e migliaia di pagine sulla teoria dei giochi per spiegarci come i processi di coordinamento e cooperazione fra gli individui riescano a massimizzare meglio i singoli obiettivi rispetto alla sregolata condotta competitiva e aggressiva degli operatori. E purtroppo per noi, le grandi imprese ci hanno preceduto su questo cammino e conoscono talmente bene le suddette teorie da averle usate per costruire i cartelli, i trusts, le holdings, i monopoli, gli oligopoli, gli organismi internazionali che ci stanno massacrando.

Tuttavia siccome la Storia è più potente di qualsiasi gruppo di potere costituito e la Storia ha sempre posto un argine alla diffusione delle dittature, militari o finanziarie che siano, ecco che comincia a piccoli passi la controffensiva popolare e democratica. Iniziata con i movimenti no global, continuata attraverso i presidi dei ragazzi di Occupy Wall Street e indignados, e infine inoculata all’interno di alcuni partiti politici tradizionali, come il Front National in Francia o il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord in Italia. O in nuove e promettenti associazioni politiche come la nostra, ARS Associazione Riconquistare la Sovranità, che ha fatto della regolamentazione finanziaria e del ritorno alle linee guida costituzionali il maggiore punto di forza del suo programma. Qui in Europa la lotta al leviatano della finanza sta sempre più prendendo la forma di un convinto e ben documentato anti-europeismo, dato che quest’ultimo è stato la base istituzionale che ha consentito a banchieri e multinazionali di taglieggiare i popoli e i lavoratori europei. Il tentativo estremo di tutti i faccendieri e lobbisti d’Europa di scalzare la normale dialettica democratica e la prassi politica degli Stati nazionali, per mettere al centro delle trattative unicamente i loro affari e profitti. Tentativo tanto ardito quanto fallimentare. Non ci riusciranno. Hanno già perso. Il popolo ha iniziato a capire. Questi ultimi frenetici colpi di coda per continuare a depredare le nazioni sono la più palese rappresentazione della loro sconfitta. Ormai non costituisce più vergogna andare in giro con la bandiera del proprio paese sulle spalle, mentre quel pezzo di stoffa blu con dodici stelle gialle in cerchio viene sempre più associato nell’immaginario collettivo ai regimi totalitari, al nazismo, al fascismo, al medioevo. Il cambio di rotta è già avvenuto nella testa della gente. E chiunque abbia un minimo di conoscenza della Storia, sa che la creazione di un simbolo o un mito negativo contro cui combattere è il primo passo indispensabile per convincere la gente a combattere davvero nelle strade e nei palazzi che contano. Per rimettere al centro la sovranità popolare al posto di quella elitaria o dinastica.  

Oltre alla denuncia, è nostro dovere quindi riflettere sulla fase costruttiva e cominciare a ragionare su cosa succederà dopo la cacciata dei tiranni. Si dovrà in particolare capire come verranno gestiti lo smantellamento dei caracollanti palazzi di Bruxelles, Francoforte e Strasburgo e la transizione ai rinnovati istituti democratici nazionali. Se parlamentari, commissari, burocrati, lobbisti vari verranno rimpatriati e giudicati secondo le loro colpe, appare molto più complessa la risoluzione delle controversie che potrebbero sorgere in seguito alla messa in liquidazione della Banca Centrale Europea BCE, il vero fulcro di potere e ricchezza finanziaria dell’attuale classe dominante. La BCE infatti ha un capitale sociale di circa €10 miliardi, di cui €1,25 miliardi versati da Banca d’Italia (12,5% di quota azionaria), che in teoria andrebbero persi nel caso in cui l’euro scomparisse come moneta. Ma rimarrebbe ancora in piedi la questione legata alla ridenominazione degli attivi di bilancio che ad oggi superano i €200 miliardi. La parte di attività in euro dovrà sicuramente essere ridenominata nelle varie valute nazionali e poi utilizzata per coprire le passività in euro, rappresentate principalmente dai depositi di riserve detenuti dalle varie banche europee e straniere. Mentre ben altra destinazione dovranno avere le attività denominate in valuta estera e le riserve auree, visto che Banca d’Italia ha versato a suo tempo €5 miliardi complessivi di oro (15% del totale) e valuta estera (yen e dollari). Queste riserve dovranno rapidamente rientrare in patria e servire come ulteriore garanzia a sostegno del corso della nuova lira, qualora dovessero iniziare improbabili attacchi speculativi ribassisti nei confronti della nostra moneta nazionale. A chi interesserebbe infatti una lira troppo svalutata? Non certo a tedeschi, francesi e americani, che con la nostra ritrovata competitività commerciale dovranno fare i conti.

I €900 e passa miliardi di banconote circolanti di proprietà del portatore verranno convertite a vista in nuove monete nazionali dalle rispettive banche centrali, mentre gli attivi corrispondenti alla parte di banconote trattenuta dalla BCE (€73 miliardi circa) verrà nuovamente spartita fra le autorità monetarie dell’eurozona. Ma c’è un altro grande mistero che aleggia intorno alla faccenda della liquidazione della BCE, che riguarda i famigerati crediti/debiti del sistema di pagamento transfrontaliero TARGET2. Secondo i ripetuti chiarimenti forniti dagli stessi funzionari e governatori della BCE, questi saldi contabili sarebbero solo degli indicatori statistici e non avrebbero alcun valore effettivo, ma c’è da giurarci che i tedeschi, i quali hanno maturato negli anni un credito di oltre €500 miliardi (vedi grafico sotto), rivendicheranno il risarcimento di questa quota in valuta estera. Trattandosi infatti di crediti e debiti delle banche centrali che si maturavano ad ogni scambio commerciale o finanziario che avveniva fra i residenti dei paesi membri dell’eurozona, questi saldi rispecchiano quello che un tempo veniva finalizzato tramite i passaggi di valuta nazionale. Se venisse concordata questa linea di pensiero, l’Italia, che ha un debito di €200 miliardi circa, dovrebbe conferire ai creditori, in base ad un preciso programma di rientro, il corrispettivo in moneta nazionale della passività maturata. Ma ripetiamo che si tratta di ipotesi, perchè essendo la moneta unica tra Stati sovrani un’eccezione e un’anomalia senza precedenti nella storia internazionale, la sua frantumazione aprirà sicuramente parecchie diatribe e controversie.



La cosa importante da tenere sempre presente è però che l’euro finirà. Non sappiamo ancora bene come e quando, ma l’unica certezza su cui dovranno ruotare tutti i nostri ragionamenti, è che il destino della moneta unica è già segnato. I movimenti e i presidi del popolo sono i primi veri segnali di risveglio dell’Italia, da cui dovremo ripartire per ricostruire la nostra nazione dalle fondamenta. Dobbiamo essere così bravi e determinati da non far disperdere tutte queste energie positive, cercando di farle convogliare in una proposta politica seria, credibile, efficace. Dato che l’euro è stato più uno strumento politico di abbattimento degli Stati nazionali, è con la politica, all’interno dei parlamenti e dei governi, che dobbiamo scardinarlo. Noi ci siamo e ci saremo sempre in questa lotta decisiva, con tutta la nostra buona volontà e l’amore che nutriamo per il nostro paese. Perché è chiaro che quando si scatenerà il caos e il panico tra la gente, bisognerà stare attenti allo sciacallaggio disordinato e agli ultimi disperati tentativi di sopravvivenza dell’inqualificabile classe dirigente uscente, che tenterà sicuramente di saccheggiare ancora tutto ciò che è sfuggito ai nostri calcoli e alle nostre previsioni. Qualcuno forse lascerà l’Italia, qualcuno cercherà di mischiarsi e confondersi tra la folla, qualcun altro in modo sfrontato e indegno tenterà ancora di difendere l’indifendibile. E prevediamo già che questa battaglia sarà dura, complessa, in certi casi anche violenta, ma alla fine, come ripetiamo spesso noi di ARS, ci libereremo!!! E con questo auspicio, vi auguro di trascorrere delle serene feste natalizie e spero di ritrovarvi presto su queste frequenze.



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