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Il tramonto di un'epoca |
AUTUNNO ROSSO — di Angela Piscitelli
Che
eravamo impresentabili, ce lo avevano detto in tutte le salse ed
in tutte le lingue, pure in congolese. Ed ora che abbiamo messo il re
a nudo, ecco che tutti i conformi, ditino in alto ci segnano come
irresponsabili. Bel concetto delle larghe intese, avevano i nostri
“sodali”: fare il proprio comodo, dettare la linea, sputarci addosso
ed in più spedire in galera — per direttissima — forzando la mano,
il nostro leader. Questo governo passerà alla storia come il più
inutile ed il più surreale. Ancora una volta il Cav, sant’uomo, si era
fatto infinocchiare alla grande: l’economia in mano al solito
burocrate merkelofilo, un pesce in barile di crauti succedaneo di
Monti, premier ed intorno folkolore puro, di cattivo gusto. La
Cancellieri alla giustizia ha brillato per assenza, troppo
impegnata a girare il ragù o a occuparsi dei nipotini, mentre si
organizzava l’eliminazione del Cav. Governo di killeraggio rosso
che più rosso non si può, gragnuola di bugie giornaliere, paese alla
deriva, ma tanto, le missioni erano due: mettere la prua ben dritta al
servizio dell’Europa (potevano pure nominare Schettino premier) e
liberarsi finalmente del nemico scomodo — il diverso -, e con lui,
dei suoi dieci milioni di elettori: l’Italia che lavora mentre gli
altri mangiano.
Ma il Leone — seppur impallinato,
febbricitante, provato, ha reagito. Come nei finali più
entusiasmanti il guerriero morente raccoglie le forze e infila la
spada nel cuore del cattivo: non riuscirà ad ucciderlo, ma non ne
sarà complice.
Tutte le ricostruzioni fantastiche
approntate da lestofanti castocrati, castografi e quagliarielli
non hanno un briciolo di verità: il Cavaliere sa bene che lo faranno
decadere e che andrà in galera (o a i servizi sociali che dir si
voglia), quello che però non può accettare, dopo vent’anni di onorato
servizio, è che parcheggiato in prigione il vecchietto tonto, gli
altri continuino a fare scempio dell’Italia, non rispettando
nemmeno uno straccio di patto con il suo avallo.
Abuso dietro abuso, si va verso la
regolarizzazione finale dell’Italia. Piccola e media industria
polverizzata, la prima casa sottratta, esercizi commerciali
d’eccellenza distrutti, e al loro posto indisturbati, i “compro oro”,
strozzini e avvoltoi esattamente come le banche. Vietato
esprimere opinioni, si può solo abbassare la testa ed obbedire. I
complici di questa sistematica razzia, premiati; gli altri ridotti
alla miseria. Ecco perchè assistiamo ad un interessante
voltafaccia di certi pennaiuoli che cominciano pure loro a
dipingere il Cav come un vecchio pazzo e corteggiare le sciacquette
che dicono: “non voglio morire fascista”.
Ormai è chiaro: la democrazia, da noi è
una presa per i fondelli. Le riforme istituzionali non sono
consentite in dittatura, e le dittature — quelle vere — non si
rovesciano né con le elezioni, né con i cosiddetti interventi
umanitari. Il mondo non è certo progredito dalla seconda guerra
mondiale ad oggi, guardatevi intorno tutti: vi accorgerete che
hanno bombardato la verità, l’istruzione, la famiglia, la
giustizia, l’identità.
Patria. Un sostantivo esiliato dalle
nuove sintassi e dai nuovi conquistatori. Neanche genitoria,
potrà chiamarsi: né sangue, né terra, né storia, né ricordo.
Nell’aereopago della Polis sono entrati quattro uomini d’arte e di
cultura che grandi cose potrebbero immaginare per risollevare le
sorti del nostro, del loro paese, e invece nessuno di loro ha parlato,
anzi, quasi di soppiatto, sepolte bacchetta, matite e formule, si
sono accomodati a far numero retribuito nella schiera compatta dei
pigiatori di pulsanti a comando.
Intanto, mentre l’Italia muore, c’è chi
paga trecentomila euro dei tizi per osservare gli alberi, chi
applaude all’okkupazione kulturale di un teatro di Roma, chi assume
insegnanti per far clientele, chi si finge scrittore per andar
sfasciando carrozze, chi traduce e tradisce e chi tradisce
e basta.
La demagogia ha scalzato ogni
conoscenza. Il metodo più semplice per squagliare un popolo è
renderlo smemorato. Da noi è successo. La storia ha le sue rime,
che spesso restano incomprensibili anche dopo mille e mille anni. Le
istituzioni e le leggi sono convenzioni, passano. Quello che resta
di un tempo è il pensiero -, se pensiero c’è.
Era il marzo 2001 e nessuno se ne
ricorda più. I Talebani iconoclasti fecero saltare in aria i due
Budda di Bamiyan: il fatto generò appena una blanda e distratta
indignazione — rotta soltanto dalle urla di Vittorio Sgarbi -,
solita voce nel silenzio.
La dinamite dei “talebani de noartri”
è stata l’ideologia, la damnatio memoriae è stata meticolosa,
capillare, devastante. Al posto della Patria cantata, scolpita,
costruita, un misero simulacro infarcito di retorica velenosa,
grottesco ed inutile come un fantoccio di Carnevale.
Da vent’anni emigrante, per vent’anni
ho visto cialtroni santificati in tournée permantente effettiva a
dir male dell’Italia, ad insozzarne l’immagine, strapagati per
farlo. Italiani, da altri italiani: tutti con la minuscola.
No, Presidente, non è con l’età che il
suo mondo si dissolve. Si dissolve con l’oblio delle egregie cose
del quale era fatto: la famiglia, i monumenti, la lingua, la
cultura, la fierezza, il dovere, la dignità, lo spazio, il rispetto, i
sogni. Lei ha vissuto abbastanza per vederla, un’Italia, non sarebbe
stato meglio difenderla come meritava, invece di votarsi a interessi
alieni? Si guardi allo specchio e si domandi: cos’è l’Italia?
Non è, e non può essere terra di
prevaricazione e di ingiustizia, di diritti stravolti e finti
diritti rivendicati, di governi fantoccio, di inquisitori, di
codardi, marionette, di panorami contraffatti e disfatti: un deserto
fuori e dentro le coscienze. Cittadella senza presidio d’una
identità certa, l’Italia è destinata a sfaldarsi. Mi dica, Lei che
taglia nastri ad ogni piè sospinto, che commemora con la voce rotta,
ha mai provato a domandare a quello stuolo di tricoteuses in
doppiopetto che lo accompagna su questa giostra impazzita, quale è
il senso autentico di una qualunque ricorrenza civile?
Questi sono giorni bui, il cicaleccio
delle televisioni non copre l’urlo straziante della verità tradita.
Non può esserci pacificazione senza conoscenza, ma noi, che “fatti
non fummo a viver come bruti”, di conoscenza non ne abbiamo più: siamo
addestrati a distruggere, e la colpa è vostra.
Ora va in scena l’ultimo atto della
commedia; dopo, il saccheggio sarà una passeggiata, chi non
applaude sarà perseguito a norma di legge. C’è chi comincia a dire
che abbandonare questo Parlamento è un attentato alla
Costituzione, invece pare sia cosa buona e giusta che un ministro
della Repubblica dica che la parola “mamma” sia da bandire, ed il
Colosseo da smontare…
Italia… Italia. Fu un sogno di pochi,
ma tutte le volte che nasce un Italiano va demonizzato e poi ucciso
prima che possa rinverdire il sogno, salvo poi proporre alla
famiglia un sontuoso funerale di stato con tanto di compianto
istituzionale. Che vergogna!